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Luca Grion

Usare ChatGpt per fare meglio i giornalisti, aspetti deontologici: intervento del filosofo Luca Grion

«Una delle sfide più importanti in relazione alla società digitale riguarda i modi attraverso i quali noi deleghiamo responsabilità decisionali alle macchine. La persona prende una decisione anche in base ad una visione etica, ma se la decisione invece è presa da una macchina, che cosa comporta? Pensiamo alla concessione o meno di un mutuo casa, piuttosto che alla valutazione di un curriculum per un posto di lavoro».

Luca Grion, docente di Etica della comunicazione e Filosofia morale all’Università di Udine, è intervenuto il 26 settembre, assieme al giornalista di Avvenire, Luigi Rancilio, al corso di formazione online, organizzato da Italian Travel Press e Sindacato  Giornalisti del Veneto, per aiutare i giornalisti ad ottimizzare l’uso dei nuovi strumenti di intelligenza artificiale.

 

«Un’altra sfida – continua Grion – riguarda proprio il mondo del giornalismo, ma non solo. Si tratta del rapporto con la verità. Il tema delle fake news è quello più noto. Ci sono sistemi che generano notizie, ma anche immagini, così verosimili da rendere quasi impossibile capire se sono vere o false. Ma, poiché questo è il tempo in cui dobbiamo vivere, abbiamo due opzioni: o utilizziamo le macchine in modo acritico, rischiando di diventare totalmente sostituibili; oppure, cerchiamo di arrivare ad una sorta di collaborazione. Il giornalista può usare l’intelligenza artificiale per raccogliere informazioni, per velocizzare il flusso di lavoro, ma il suo contributo dev’essere quello che fa la differenza in termini di qualità, il che comporta anche una remunerazione adeguata. Nella società digitale la dimensione prettamente tecnica, quella umana e quella culturale sono interconnesse».

Corso per giornalisti ChatGPT

Dobbiamo temere questo ingresso prepotente delle macchine nella nostra quotidianità?

«Dobbiamo essere sanamente preoccupati, perché la preoccupazione ci rende più critici; i problemi ci sono e sono molto concreti. Il nodo più delicato non è tra bene e male, perché lì è facile scegliere, in linea di massima, nessuno vuole il male, ma tra beni in conflitto tra loro. Per esempio, andiamo verso una società del controllo, con tutta una serie di strumenti che ci monitorano, per ragioni commerciali e di ordine pubblico. Questo, però, ha conseguenze sulla privacy perché, più voglio uno strumento efficiente, e più devo centralizzare i dati. Pensiamo alla famosa app Immuni del periodo Covid. Poche persone l’hanno scaricata perché non si fidavano: “Non mi fido del Governo, non mi fido di chi mi prende le informazioni, non so che cosa ne faranno, etc”. La sfiducia ha reso inefficace uno strumento importante per la salute pubblica. Oggi, dunque, siamo chiamati a scegliere tra valori positivi, ma spesso incompatibili, e dobbiamo decidere a quali attribuire la priorità».

Il tema del suo intervento al corso ha rigurdato  l’algor-etica, che studia i risvolti etici connessi all’applicazione degli algoritmi. Cosa è l’algoretica?

«Si tratta di scegliere quale etica dobbiamo dare alle macchine quando chiediamo a loro di decidere perché non c’è tempo per una decisione umana – conclude il professore -. Ricordiamo che non esiste un’unica etica, c’è quella utilitaristica, quella deontologica. L’Unione Europea sta lavorando su valori condivisi, ma non è facile, perché in realtà noi stiamo utilizzando strumenti che funzionano, ma non sappiamo perché. Gli stessi informatici spiegano che non sempre è possibile capire perché la macchina dà una determinata indicazione. Sappiamo solo che dal punto di vista probabilistico è la migliore. Allora la domanda è: vogliamo sistemi meno efficienti, ma più controllati dagli esseri umani, oppure vogliamo strumenti statisticamente più efficienti anche se opachi? Questo è un aspetto inquietante, perché spesso puntare sull’efficienza significa perdere di vista l’umanità. Un’altra grande incognita riguarda il mondo del lavoro. Oggi vediamo scomparire in poco tempo professionalità che vengono totalmente sostituite dalle macchine, ma non è affatto detto che una persona di cinquant’anni riesca a reinventarsi. Questo aumenta il numero di persone a rischio di esclusione. Come rispondiamo?»

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