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Dalla vastità del Karakum ai canyon multicolori: Turkmenistan, il lato inatteso dell’Asia centrale

Testo e foto di Daniela De Rosa

Dalla vastità del Karakum ai canyon multicolori, il Turkmenistan è un piccolo Paese circondato da grandi vicini, dove ricchezza, regole particolari e una cultura fortemente identitaria creano un mix sorprendente tra natura e modernità.

Lo chiamano “Assurdistan” e basta arrivare all’aeroporto, uscire e girarsi indietro per capire perché. Dopo aver raccolto numerosi foglietti, che nessuno chiederà mai indietro al momento della partenza, dopo aver attraversato luoghi completamente deserti, dopo essersi spiegati a gesti con personale che pur lavorando in uno scalo internazionale non parla una parola di inglese o di nessuna altra lingua europea, si guarda l’aeroporto da fuori e si capisce all’istante che ci si trova in un mondo strano: l’intero edificio è in marmo candido e a forma di falco.

Turkmenistan, i grandi edifici in marmo di Ashgabat ©Daniela de Rosa

Marmo di Carrara nel centro dell’Asia

Poi si arriva ad Ashgabat, la capitale, e si scopre il resto. La città è fatta di edifici enormi, tutti in candido marmo di Carrara (si dice che siano servite quattro milioni e mezzo di lastre), con fregi d’oro e finestre a specchio, tutte chiuse.

Nessuno entra, nessuno esce da questi palazzi. In compenso ci sono donne vestite con l’abito tradizionale e un fazzoletto a fiori che copre metà testa, intente a pulire, lustrare e strappare erbacce dalle strade.

Vengono lavate con acqua e sapone perfino le strisce pedonali. La città brilla come uno specchio, le automobili che la attraversano (guidate da uomini, le donne possono prendere la patente solo dopo i 35 anni, e non sempre ci riescono) devono essere bianche, altri colori non sono ammessi.

Turkmenistan, Ashgabat, il monumento a forma di libro ©Daniela de Rosa

Una capitale che non si fa fotografare

Ashgabat va vista, anche se non sempre si riesce a fotografarla, perché qualcuno lo impedisce. Non si può fotografare il palazzo presidenziale, davanti al quale le strisce pedonali e le strisce di mezzeria di notte sono illuminate, non si possono fotografare i complessi sportivi, l’ippodromo con la testa di cavallo, lo stadio, naturalmente deserti e pulitissimi.

Ashgabat possiede monumenti mastodontici, fatti costruire dal primo presidente, Nyyazov, che ha scritto un libro, il Ruhnama, con la sua visione della vita, e ha obbligato tutti a leggerlo dall’asilo all’università.

Alla sua opera ha dedicato un monumento, a forma di libro naturalmente, che si apriva al calare del sole. Ora il meccanismo è rotto e il libro non si apre più.

Turkmenistan, Ashgabat, la grande moschea ©Daniela de Rosa

Politici dalla personalità esuberante

Così come non ruota più seguendo il sole la gigante statua d’oro dello stesso Nyyazov, che si è fatto chiamare Turkmenbashi (padre del Turkmenistan), in cima al monumento alla Neutralità (il Turkmenistan si proclama neutrale ed è indipendente dal 1991. Prima faceva parte dell’URSS).

Raggiunta l’indipendenza nel 1991 è rimasta la corruzione e un folle culto della personalità, prima del primo presidente, Nyyazov, poi di Gurbanguly Berdimuhamedow, il dentista del presidente, e ora del figlio Serdar, che saluta la popolazione da innumerevoli fotografie sparse per tutta la città.

A proposito di monumenti, Turkmenbashi si è dedicato una moschea imponente, tutta di marmo bianco, ovviamente, e che può contenere 10.000 persone. I minareti sono alti 91 metri, come l’anno della raggiunta indipendenza.

Sotto la moschea c’è un parcheggio che può contenere 400 auto. Ovviamente non ci sono auto nel parcheggio né fedeli in preghiera. La moschea è assolutamente vuota.

Turkmenistan, Ashgabat ©Daniela de Rosa

Dittatori o presidenti?

Turkmenbashi, oltre alla moschea, si è costruito un mausoleo, con la sua tomba di marmo nera circondata da quella della madre e dei fratelli in bianco candido e una statua che ricorda come siano morti a causa del terremoto del 1948 che ha raso al suolo la città e ha ucciso gran parte della popolazione.

Alcune delle stranezze che aveva introdotto Turkmenbashi sono state eliminate dal nuovo presidente e dal figlio: il circo, l’opera e la danza sono stati reintrodotti, la scuola dell’obbligo è stata riportata a 10 anni (era stata portata a nove anni con l’idea di portarla poi a sette), le pensioni che erano state eliminate per gran parte della popolazione con effetto retroattivo sono state di nuovo elargite, i mesi e i giorni hanno avuto indietro i loro nomi.

Ma Sardar, attuale presidente, resta un dittatore bizzarro, che dice di voler svecchiare il proprio Paese aprendolo all’Occidente ma continua a mettere i bastoni tra le ruote ai pochi turisti, che temono di essere ascoltati e spiati. La storia delle “cimici” nelle stanze degli hotel (faraonici ma con un servizio inadeguato) è cosa conosciuta.

Grande una volta e mezzo l’Italia, il Turkmenistan ha solo 5 milioni di abitanti e l’80% del suo territorio è formato dal deserto del Karakum, un tempo una delle tappe più pericolose della Via della Seta. Karakum significa “sabbia nera”, ma non è che la sabbia sia proprio scura. È piuttosto beige, con un vello di erba che la ricopre.

Turkmenistan, Canyon di Yangykala ©Daniela de Rosa

Un Paese difficile per il turista

Niente dune, qualche pietraia, tramonti infuocati. D’estate le temperature sono altissime e arrivano a 50 gradi, d’inverno il freddo è intenso. Insomma, il Turkmenistan non è esattamente un luogo ospitale.

La strada, o le strade, che lo attraversano sono da percorrere in 4×4 perché piene di buche e dossi. Però ci sono gli aerei, che costano pochissimo, e i treni notturni, rimasti agli anni ’50 e quindi un’esperienza per i nostalgici.

L’unica strada che si può percorrere, in direzione ovest, raggiunge quella che è diventata un’attrazione del Paese, anche se è nata da un disastro ambientale, la Porta del Deserto.

Fuoco inestinguibile

Si tratta di un enorme cratere affascinante da vedere, soprattutto di notte, con un fuoco che brucia dal 1971 in seguito a una maldestra esplosione fatta dai russi in cerca di gas. Il gas l’hanno trovato eccome (il Turkmenistan è il quarto Paese produttore di gas naturale al mondo) e il fuoco, contro il parere degli scienziati, che credevano si sarebbe estinto in pochi giorni, continua a bruciare.

Tutto intorno calore e un forte odore di gas. Una volta a Darvaza, dove si trova la Porta dell’Inferno, si dorme nelle yurte del vicino campo.

Tornando verso la capitale si incontra il Canyon di Yangykala, bellissimo e straniante, bianco, giallo e rosa, una delle visioni più belle del Paese.

Poco distante si trova il villaggio di Nokhur, con il cimitero locale, dove le tombe sono decorate con le corna delle capre, simbolo di forza e un santuario, non troppo degno di nota.

Abiti obbligatori

Il Turkmenistan è stato e continua a essere il paradiso degli archeologi. Le città di Nisa e Merv, l’attuale Mary, sono state definite degne di nota dall’Unesco e conservano edifici di pregio.

I manufatti ritrovati sono invece conservati nel Museo Nazionale di Ashgabat, alla quale si deve tornare per forza e dove si vedranno molte donne vestite con abiti tradizionali (obbligatori se si lavora per un ente pubblico, quindi quasi tutti, e se si è studentesse). Le universitarie devono indossare il vestito rosso e devono avere i capelli lunghi divisi in due, se sono liceali stessa cosa ma con il vestito verde.

Meglio se portano avanti la tradizione delle donne turkmene, fare figli e stare a casa ad occuparsene. Niente trucco, niente punturine, niente botox. Tanto sono belle così.

Questa insistenza sul mantenimento delle tradizioni turkmene, che cozza un po’ con l’anelito alla modernità che lo Stato dice di avere, fa un po’ sorridere, ma solo perché sappiamo che saliremo su un aereo e torneremo ai nostri Paesi. 

Gurbanguly, il precedente presidente, ha stabilito che durante i matrimoni si cantino solo canzoni turkmene, possibilmente le sue (è anche cantante, oltre che sportivo indefesso). Suo figlio, l’attuale presidente, non obietta.

Articolo pubblicato su © Latitudeslife.com

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