
Tuttofood: tartufi per tutti, “carne” vegetale e troppa plastica
di Gabriele Eschenazi
Tortuoso è il percorso del cibo visto e assaggiato nei corridoi di Tuttofood a Milano (5/9 maggio). La materia prima viaggia da un continente all’altro per foraggiare le industrie alimentari perdendo lungo la strada la sua identità di luogo, stagione e gusto. Come le auto assemblate con componenti fabbricati in diversi paesi così anche un prodotto da forno può contenere ingredienti dalle più svariate provenienze e di qualità incerte.
E quanto più un prodotto è processato e ultra processato più il suo assemblaggio richiede un impegno maggiore da parte dell’ufficio acquisti che non dai «cuochi» dell’industria. Alla base c’è sempre una ricetta, ma c’è anche un risultato di gusto da ottenere e che è stato creato non tanto dalle abilità di un maestro cuciniere quanto piuttosto dalle scelte di un ufficio marketing molto attento alle esigenze di mercato. Il titolare di un’azienda bio molto presente sul mercato mi ha spiegato come la loro politica è quella di studiare a fondo le tendenze dei consumatori per elaborare prodotti, che già a priori incontreranno il favore del mercato. L’obiettivo è rischiare il meno possibile anche se a volte non è possibile. I consumatori sono volubili anche perché l’industria alimentare li ha abituati a cercare sempre la novità e farsi ipnotizzare da essa. La fedeltà a un prodotto è sempre più rara, mentre invece resiste la fedeltà a un marchio. La memoria collettiva italiana continua includere marchi degli anni ’60 passati più volte di proprietà come Star, Perugina, Saiwa, Knorr e così via, ma qui si tratta di un consumo più che altro di tipo “romantico”.

Esistono cibi, che sono a ondate più desiderabili di altri vuoi perché ritenuti esclusivi o vuoi perché il loro gusto «droga» il palato dei consumatori. Ora sembra sia il momento del tartufo. A Tuttofood si sono visti in prima fila sontuosi stand di tartufi in tutte le forme, solide, liquide e cremose. L’esempio più innovativo ed estremo nel settore tartufi è Be truffle, un’azienda indirizzata ai più giovani con le sue salse, tra le quale spunta persino una bbq al tartufo da mettere sulle patatine o su hamburger. Il prezioso ed esclusivo tubero entra in un immaginario gastronomico diffuso in virtù del suo gusto riprodotto in laboratorio. Un destino simile a quello del tartufo sembra averlo il pistacchio, importato da Spagna, Turchia e paesi del Nordafrica. Ne servono ingenti quantità per produrre le creme in barattolo e nelle gelaterie il gusto «pistacchio salato», uno stratagemma per dare valore a pistacchi deboli di sapore. Sulla cresta dell’onda è ormai da tempo l’avocado, usato per lo più fresco fino a quando non è stato studiato un sistema per conservarlo surgelato pronto all’uso sotto forma di monoporzione di guacamole.
Tartufo sui primi piatti e le tartine, pistacchi a colazione su pane e brioche o nei gelati, avocado nei brunch sui toast o in ciotoline per aperitivi. Ogni cibo di moda ha un suo tempo di consumo definito identificato e promosso dal marketing alimentare. Succede poi che alcune nuove passioni ci arrivino da lontano come è il caso del bubble tea dove a una miscela di tè preconfezionata si aggiungono nel bicchiere delle palline gommose di tapioca. Sembra impossibile che questo «intruglio» possa piacere eppure ha una sua ragion d’essere come spiega un produttore di palline di tapioca al naturale di Taiwan, Sunnysyrup. «In bocca queste palline prolungano la percezione del gusto della bevanda e inoltre masticare qualcosa di gommoso trasmette piacere». La gommosità non è tutto, ovviamente, ma ci vuole anche una buona dose di zucchero come in tutte le bibite commerciali non pensate per soddisfare la sete, ma per essere consumate in quantità sempre maggiori.
La rielaborazione dei prodotti vegetali in chiave moderna si giova spesso di tradizioni culturali antiche dando luogo a risultati interessanti. È il caso del sale di bambù proposto dall’azienda coreana Insanga. Fondata dal dottor Insan, naturopata autore nel 1986 del libro Holy Medicine, best seller in Corea. Il bambù contiene antiossidanti e 55 minerali essenziali per l’organismo umano. Queste sostanze vengono rese disponibili attraverso il sale «contaminato» dal bambù attraverso un’antica procedura modernizzata. Il sale viene inserito per ben nove volte all’interno di canne di bambù poi tostate con legno di pino. Il risultato è un sale salutare, nutriente e aromatico. Tornando in Italia guadagna un suo spazio il torrone di Tentazioni e sapori di Caltanissetta, presidio Slow Food. Solo tre ingredienti, miele di Sulla, mandorle locali e pistacchio di Raffadali, gemello del più celebre Bronte. La generosa quantità di frutta secca e l’assenza dello zucchero rendono questo torrone meno dolce e più aromatico di altri dove lo zucchero è l’ingrediente dominante. Molto in fermento è il settore delle «carni» Plant Based come d’altra parte possiamo notare tutti i giorni nei supermercati. Lo sforzo imitativo si indirizza su aspetti diversi: la consistenza, il gusto, il colore e la versatilità in cucina. Sul macinato per polpette e sughi e sulle uova istantanee punta l’azienda italiana Beamy. I suoi prodotti destinati alla grande distribuzione sono molto utili per i vegani pigri, quelli che invece di rielaborare le proprie ricette preferiscono operare per sostituzione con surrogati. Gusto e consistenza non mancano e da questo punto di vista Beamy è piuttosto convincente all’assaggio.

Più rivolte ai ristoratori che non al consumatore privato sono le aziende Novameat e Swap. La prima, spagnola, riproduce con la microforce technology «carne sfilacciata» e una sorta di petto di tacchino da affettare, si tratta di prodotti molto apprezzati dai rivenditori di sandwich. Entrambi sono già insaporiti e pronti al consumo. La seconda, francese, si è molto concentrata sul pollo, la carne più consumata al mondo ed erroneamente considerata salutare. Il riprodotto petto di pollo di Swap è molto simile all’originale per forma, colore e consistenza fibrosa, mentre il sapore è piuttosto neutro, ma d’altra parte anche l’originale, per lo più di allevamento, non gratifica di certo il palato. Ciò che conta sono gli aromi aggiunti e il metodo di cottura La novità dei filetti Swap sta anche negli ingredienti, solo sette (soia e proteine di piselli i principali), e senza metilcellulosa usata spesso come addensante e piuttosto indigesta anche se vegetale. A distribuire Swap in Italia è Mr Roots, che rappresenta otto marchi della nuova industria alimentare Plant Based.

Meno rappresentato a Tuttofood è stato il settore dei «latticini» vegetali se escludiamo le bevande sostitutive del latte, che ormai vengono prodotte anche da note aziende lattiero casearie o di bibite. Per qualità si distinguono le italiane Bjorg e The Bridge, che ha lanciato le sue creme fermentate all’avena, da apprezzare per il basso contenuto di zucchero e una consistenza cremosa equilibrata. Per l’industria alimentare Plant Based valgono le stesse regole da osservare in genere quando si decide di consumare prodotti processati o ultraprocessati. La prima è quella di evitarli quanto più possibile dato che non sono salutari come dice sempre il dottor Franco Berrino. La seconda è comunque quella di leggere sempre l’elenco degli ingredienti, che non dev’essere lungo e non deve contenere additivi e aromi. Senza dimenticare la netta preferenza verso il biologico. Fretta e gusti alterati possono indurci a scelte vegetali errate e non salutari.